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In ascolto e in dialogo con la fede popolare per una Chiesa sinodale

2024-01-15 11:00

Sinodo diocesano

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In ascolto e in dialogo con la fede popolare per una Chiesa sinodale

Relazione per l’Assemblea sinodale Cefalù, 13 gennaio 2024  Relatore: Domenico Messina 1. La fede del popolo forza e chance della nostra Chiesa Cefalu

Relazione per l’Assemblea sinodale 

Cefalù, 13 gennaio 2024 

 

Relatore: Domenico Messina

 

1. La fede del popolo forza e chance della nostra Chiesa Cefaludense

 

In Evangelii gaudium n. 11 papa Francesco ci ricorda che: «Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale. In realtà, ogni autentica azione evangelizzatrice è sempre “nuova”»1. È in questo dinamismo evangelizzatore che si colloca ora il nostro lavoro sinodale sulla fede popolare. Con questa espressione intendiamo l’esperienza soggettiva della fede e la sua manifestazione nella comunità credente. Sulla base della Lumen gentium, Papa Francesco, in EG 139 ha contribuito notevolmente ad un vero cambiamento di prospettiva2 mettendo in evidenza la soggettualità protagonista del popolo di Dio, che per la sua fede sotto la guida dello Spirito esercita un vero e proprio magistero infallibile in credendo3. Lo Spirito Santo, come crea connaturalità nell’uomo tra il culto e la cultura, così genera connaturalità tra i cristiani e le realtà divine, permettendo loro di intuirle con saggezza, anche se non capaci di esprimerle nella loro oggettività con gli strumenti adeguati. È evidente allora che anche l’aggettivo “popolare” deve essere riscattato da quella diffidenza che talvolta si ritrova in certi ambienti ecclesiali e teologici, che lo connotano come sottoprodotto o peggio ancora come deviazione o alterazione del soggetto ecclesiale. Noi per “popolare” intendiamo il “proprio del popolo di Dio”. “Popolare” indica e rivela tutto il popolo di Dio quale soggetto attivo della fede professata e tramandata, celebrata e testimoniata. Con “fede popolare” intendiamo riferirci alla “fede del popolo” espressa con modalità immediate e affettive che permettono alla fede cristiana di scandire ogni circostanza della vita: dai misteri di Cristo alle situazioni lieti e tristi della vita, dalla venerazione alla Madre di Dio e dei Santi alla preghiera di intercessione e a percorsi di purificazione. Romano Guardini nel 1922 recuperando il senso di “popolo - popolare”4 profetizzava affermando come la comunità dei fedeli non sia semplice collettività «ma comunità, non solo movimento religioso, ma vita di Chiesa, non una romanticheria dello spirito, ma realtà ontologica ecclesiale»5.

La nostra riflessione sinodale si inserisce in una vera e propria metànoia – conversione – teologico-pastorale, intrapresa ed espressa sin da san Paolo VI e continuata fino ad oggi da papa Francesco. Come Chiesa Cefaludense vogliamo passare dalla cosiddetta “pietà popolare” alla “fede di popolo”. Secondo il lessico di EG nn. 122-126, pietà popolare va letta e interpretata come spiritualità popolare o mistica popolare, perché il protagonista ancora una volta è lo Spirito Santo. È secondo questa traduzione di papa Francesco che qui vogliamo muoverci: si scrive pietà popolare ma si legge fede di popolo. In continuità con il lavoro condotto sin qui, la fede popolare può costituire una forza popolare – cioè di tutto il popolo cristiano cefaludense – per la realizzazione delle unità pastorali sinodali e intraprendere affettivamente nuovi percorsi di vita cristiana secondo il modello catecumenale.

Perché la fede popolare ancora oggi è una risorsa ecclesiale? Perché può narrare e trasmettere affettivamente il desiderio di Dio e il desiderio di ogni uomo; perché può coinvolgere soggettivamente tutto il popolo nella celebrazione dei misteri del Signore; perché può continuare a creare diffusamente cultura per testimoniare la fede pasquale. I linguaggi che la fede popolare utilizza sono quelli della ferialità e ciò permette di sanare le fratture che spesso si creano tra la riflessione oggettiva della fede e la sua recezione. La fede popolare si esprime in ogni situazione esistenziale: nascita e morte, gioia e dolore, desideri e difficoltà. La fede del popolo crea continuità esistenziale tra gli spazi di vita: tra la casa e la chiesa, la strada e i luoghi di lavoro, tra il singolo e la comunità.

«Dammi un'altra chance». Sembra proprio questa la richiesta che la nostra Chiesa Cefaludense in sinodo rivolge al Signore, al nostro territorio, alle nuove generazioni. La fede del popolo con i suoi linguaggi affettivi può costituire una vera chance per riscoprire il rapporto genetico tra evangelizzazione e trasmissione intergenerazionale della fede, tra liturgia e crescita della vita cristiana, tra Vangelo e dialogo con le culture nel nostro territorio. Chiarisco che con l’espressione chance s’intende non tanto la “cadentia” – tipica probabilità del gioco dei dadi – ma uno dei termini che traduce in francese il kairòs (καιρὸς): l’opportunità invocata e al contempo concessa in maniera irripetibile e gratuita, il «momento favorevole» di apostolica memoria (cf. 2Cor 6,2), che suscita stupore, provoca conversione e chiama alla responsabilità quanti la vivono. 

Vangelo - Liturgia - Fede popolare – Culture, più che realtà giustapposte sono una vera circolarità ermeneutica che rivelano la bellezza della Rivelazione cristiana nella concretezza dell’umano. Quanta cultura ha generato la liturgia della Chiesa nel nostro popolo raggiunto dal Vangelo! Quanta ricchezza culturale si riscontra e si attinge dai testi e dai riti liturgici! Quanti prodotti culturali sono stati generati dalla fede del nostro popolo nel vissuto quotidiano! Quanta vita cristiana è stata trasmessa, nutrita, animata nelle nostre famiglie attraverso le forme popolari della fede!

Abbiamo pensato la presente relazione – frutto del dialogo e della condivisione nel laboratorio sinodale sulla fede popolare – secondo la metafora del processo pittorico, ovvero come la realizzazione di un bozzetto: esso inizia con la preparazione della tela o imprimitura, poi prosegue con l’abbozzo pittorico, infine consente la visione dell’abbozzo a quanti si pongono dinanzi ad esso per completarlo, integrarlo, renderlo una vera opera d’arte. Nella nostra relazione abbiamo fatto reagire il documento sinodale Vescovo e popolo. In ascolto e in dialogo per una Chiesa sinodale6 (pp. 79-96. 107-109) con Evangelii gaudium nn. 122-126 e con il magistero conciliare del Vaticano II, scandendo la nostra riflessione secondo le tre fasi:

  tramandare il Signore con la fede popolare;

  celebrare il Signore con la fede popolare;

  testimoniare il Signore con la fede popolare.

La tela per abbozzare la nostra pittura è costituita dal mistero dell’incarnazione del Verbo, dall’intreccio umano-divino che come trama e ordito consentono al nostro Dio e all’uomo di essere l’uno per l’altro. L’imprimitura della tela è data dall’annuncio e dalla trasmissione della fede che consente al Vangelo di intrecciarsi con la vita quotidiana. La pittura si realizza nell’esperienza celebrativa dei misteri del Signore; infine, la visione della pittura saranno le testimonianze delle opere compiute da quanti accogliendo la Rivelazione cristiana la manifestano nel vissuto ecclesiale e sociale, dove si rivela il vero volto di Dio e dell’uomo. I colori della liturgia e della pietà popolare riveleranno il Verbo fatto carne, accolto secondo i dinamismi dell’inculturazione e trasmesso nella quotidianità della vita.

 

2. Tramandare il Signore con la fede popolare

 

La fede del popolo cristiano è tale perché è l’esperienza credente che si tramanda di generazione in generazione. Tramandare la fede è il primo atto generativo che scaturisce dall’annuncio kerigmatico e dalla sua accoglienza. Secondo la metafora pittorica che abbiamo assunto, il tramandare la fede costituisce l’imprimitura della tela sulla quale si dipingerà e potremo ancora una volta contemplare il volto del nostro Cristo che si comunica a noi affinché noi possiamo vivere con lui e di lui.

L’imprimitura della tela destinata alla pittura è la sua preparazione affinché questa sia idonea e capace di accogliere lo strato pittorico facilitando l’esecuzione dell’opera, garantendone la durata e l’inalterabilità7. L’imprimitura è costituita anzitutto dal rapporto del Vangelo con la cultura. Papa Francesco in EG n. 122 ci ricorda che:

 

Quando in un popolo si è inculturato il Vangelo, nel suo processo di trasmissione culturale trasmette anche la fede in modi sempre nuovi; da qui l’importanza dell’evangelizzazione intesa come inculturazione. Ciascuna porzione del Popolo di Dio, traducendo nella propria vita il dono di Dio secondo il proprio genio, offre testimonianza alla fede ricevuta e la arricchisce con nuove espressioni che sono eloquenti. Si può dire che «il popolo evangelizza continuamente sé stesso». Qui riveste importanza la pietà popolare, autentica espressione dell’azione missionaria spontanea del Popolo di Dio. Si tratta di una realtà in permanente sviluppo, dove lo Spirito Santo è il protagonista.

 

Il testo presenta in filigrana Gaudium et spes 58 e proseguendo su quanto già richiamato in EG nn. 115-118 coglie la relazione tra l’annuncio del Vangelo e la cultura, tra la trasmissione della fede e le forme culturali che da essa ne scaturiscono. Tale relazione è generata nell’uomo e nel popolo che accolgono la Rivelazione; è generata dall’uomo e dal popolo in cui agisce sempre lo Spirito creatore. Dalla reazione che si crea nell’incontro tra Vangelo e uomo, tra annuncio pasquale di Cristo crocifisso e risorto e l’umanità localizzata scaturisce la relazione credente che secondo il linguaggio proprio di quel popolo produce forme culturali proprie, che esprimono la recezione della fede pasquale battesimale. Tali forme diventano anche esperienze attraverso le quali si tramandano la fede in famiglia e nelle comunità e si favorisce la crescita e la stabilizzazione del legame di appartenenza ecclesiale e in un territorio. È in questo dinamismo che la fede popolare rivela il suo ruolo generativo e connettivo. Il nostro Documento sinodale a tal proposito mette in evidenza come:

 

La fede popolare è la prima forma attraverso cui ci è giunto il Vangelo. Essa smuove emotivamente gli animi e raccoglie molte persone; ha radici profonde che affondano nella cultura del territorio di appartenenza; tramandataci dai nonni, è ricca di rituali e di manifestazioni esterne, e soprattutto propone concretamente una testimonianza evangelica e una vita di fede vissuta e incarnata, che ha un profondo valore storico, antropologico e religioso8.

 

Nel passato, la fede popolare è stata la prima forma soggettiva di trasmissione della vita cristiana in quanto ha avuto la famiglia come contesto primario, si è espressa con i linguaggi affettivi, ha nutrito l’appartenenza comunitaria e favorito la partecipazione liturgica sia come preparazione ad essa sia come prolungamento di essa.

L’imprimitura di una tela prevede che si curi la sua superficie affinché sia resa idonea per accogliere lo stato pittorico, riconoscendo le rugosità che la tela potrebbe presentare, come delle ferite da curare. Dai complessi contesti culturali ed ecclesiali in cui viviamo affiorano ferite e debolezze sia nella trasmissione della fede cristiana sia nella vita comunitaria. Il magistero di papa Francesco opera una analisi sapiente e profonda scoprendo tali ferite ma proponendo allo stesso tempo vie terapeutiche. Tra tutte le contraddizioni e le debolezze della cultura odierna che provocano il credere cristiano e, attraverso la Chiesa, invocano la potenza rinnovatrice del Crocifisso Risorto, consideriamo alcune ferite presenti anche nel nostro territorio diocesano, come più volte emerse sia nella fase consultiva sia in questa fase di discernimento.

   Ferite relazionali - EG al n. 67 sintetizza le debolezze e le instabilità relazionali interpersonali frutto dell’individualismo che snatura anche le relazioni costitutive familiari9.

   Ferite ecologiche – Nella Laudato sii n. 2 si coglie l’urgenza della crisi ecologica che ferisce la casa comune, deresponsabilizza quanti la abitano, alimenta la violenza contro le creature10.

   Ferite simbolico-rituali – Nel cuore della Christus vivit nn. 81-90 il papa analizza le ferite che oggi sono impresse nella storia e nella carne vissuta dei giovani. Sono vere e proprie ferite simbolicorituali. Qui, l’aggettivazione del “simbolico” va considerato non alternativo a reale ma in tutta la sua forza espressiva, relazionale e performativa. Queste ferite sono generate dalle relazioni online che se pervasive disumanizzano le relazioni reali, alterano la percezione della realtà, creano migrazione digitale che allontana dalla famiglia e dai valori culturali e religiosi costitutivi, sradicano dalla comunità e fanno precipitare nella solitudine11.

Queste ferite che causano debolezze culturali ed ecclesiali, personali e familiari, per quanto dolorose, possono tuttavia diventare esperienza di apertura a nuove prospettive, visione di nuovi scenari che tracciano percorsi pastorali alternativi e originali. La sera di Pasqua, il Crocifisso Risorto entrando nel cenacolo «mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore» (Gv 20,20). Le ferite sono memoria vivificante del dono della vita del Crocifisso Risorto. La fede popolare oggi con la sua forza soggettiva e affettiva connaturale potrebbe aiutare a trasformare le ferite in feritoie, dalle quali vedere l’esterno dall’interno, il comunitario in relazione al personale, il reale dall’affettivo, sconfiggere la solitudine attraverso la riscoperta dell’appartenenza ad un gruppo, ad un contesto, ad un territorio. La fede popolare potrebbe aiutare tutti noi a vedere la Chiesa anche con un altro sguardo: con gli occhi di chi ama e non di chi si pone come giudice e censore.

Pertanto, ci domandiamo: Come la nostra fede popolare può contribuire all’evangelizzazione e favorire il rinnovamento sinodale della nostra Chiesa? Nel nostro Documento sinodale in maniera positiva e propositiva emerge come la fede popolare possa ancora favorire la trasmissione della fede a partire dal contesto familiare12.

Come è emerso dalla consultazione sinodale, siamo consapevoli che nella nostra Diocesi è urgente rievangelizzare la fede popolare affinché torni a sprigionare le sue potenzialità cristiane e culturali:

 

La fede popolare va nuovamente evangelizzata, va riportata al Vangelo. Bisogna altresì riscoprire i tratti evangelici delle tradizioni popolari. Nel tempo alcune forme di fede popolare hanno perso la centralità pasquale e teologica. Bisogna individuare e riscoprire gli aspetti evangelici della fede popolare per ricondurre al Vangelo le forme di fede popolare trasmesse e i gesti compiuti. Al centro della fede rimane Gesù, al centro c’è Gesù, e le figure di santità sono delle vie che conducono a Gesù13.

 

La fede popolare con le sue forme anzitutto necessita di essere evangelizzata e purificata mettendo al centro la fede pasquale e battesimale, perché se Cristo non è risorto è vana la nostra fede (cf. 1Cor 15,17). La fede popolare va orientata e nutrita dalla parola di Dio perché «La fede popolare è il Vangelo vissuto attraverso la fede dei semplici»14 che nella concretezza e ferialità della vita quotidiana consente di vivere con fede e secondo la fede ogni circostanza. Il Direttorio su pietà popolare e liturgia indirizza la pastorale ecclesiale affinché nelle forme di religiosità popolare si possano riscontrare sempre l’afflato biblico, liturgico, ecumenico, antropologico15.

Dobbiamo prenderci cura evangelicamente della fede popolare delle nostre famiglie e delle nostre comunità, dei nostri giovani e dei nostri anziani e nonni. Con estrema sincerità chiediamoci: che incidenza ha la fede cristiana nel vissuto delle nostre famiglie e dei nostri giovani? Quali proposte di evangelizzazione offriamo alle nostre famiglie e ai nostri giovani? Le attuali espressioni della fede popolare nelle nostre comunità parrocchiali sono reali espressioni del vissuto cristiano?

 

La fede popolare è il termometro per misurare la fede di una comunità locale, le cui tradizioni vanno saldamente conservate, mantenute, difese e non disperse. La fede popolare propone e conserva atti di fede ed espressione culturali e cultuali; traducendosi nell’arte, nella letteratura scritta, nei canti, nelle preghiere, nei cibi e nei dolci, vive e si alimenta di una ricca simbologia che si radica ed è intimamente legata al vissuto quotidiano16.

 

Nella prospettiva dell’evangelizzazione della fede popolare e con la fede popolare, individuiamo dunque alcuni ambiti sui quali riflettere, confrontarci e discernere per elaborare percorsi nuovi:

 

2.1. La famiglia e la trasmissione intergenerazionale della fede

 

Per generazioni, la famiglia è stata il grembo della fede cristiana accolta e trasmessa. Tutti siamo cresciuti ascoltando le narrazioni evangeliche e dei santi dalla bocca dei nostri nonni e delle nostre mamme. In famiglia abbiamo imparato a pregare. Le feste familiari per i battesimi e gli altri sacramenti, la preghiera per le malattie e il lutto, il presepe e i cenacoli quaresimali, gli abiti e i cibi della festa ci hanno fatto assorbire per via naturale un genuino sentimento cristiano. Oggi, i cenacoli familiari proposti dalla parrocchia con il coinvolgimento vero dei membri della famiglia potrebbero aiutare a riconnettere la trasmissione della fede tra le diverse generazioni. Essi si potrebbero proporre nella novena di Natale attorno al presepe; in quaresima e nel tempo pasquale, in occasione delle feste patronali, in preparazione al battesimo dei figli, alla cresima e alla prima eucaristia, in occasione di lutti e altre circostanze.

 

2.2. Con i giovani e i nuovi linguaggi

 

Da più parti è emerso come i giovani abbiano una loro spiritualità17. Una serena e positiva visione nell’uso dei social potrebbe aiutare ad avere un contatto diretto con il Vangelo. La formazione di giovani missionari digitali potrebbe favorire una pista percorribile per proporre la conoscenza di Gesù, per proporre la lettura della Bibbia, la preghiera dei Salmi, ecc. Anche con i social si potrebbero avviare forme di prima evangelizzazione, di incipiente accompagnamento spirituale che poi potrebbero condurre ad incontri in presenza con il parroco, i sacerdoti e diaconi, con i catechisti, in Azione Cattolica, negli oratori.

 

2.3. La parrocchia, luogo naturale per la cura della fede popolare

 

La parrocchia costituisce l’altro luogo naturale in cui la fede popolare dovrebbe essere curata e proposta secondo il Vangelo, in armonia con la vita liturgica, i ritmi dell’anno liturgico. Il cammino della fede popolare con le sue diverse e ricche forme devozionali e la trasmissione dei valori religiosi deve sempre essere suscettibile di attenta verifica, circa la sua aderenza al messaggio evangelico. Bisogna scegliere con cura i testi da leggere e pregare, escludendo quelli prettamente devozionali. Le antiche tradizioni religiose vanno comprese, vissute con nuove forme di coinvolgimento di tutto il popolo di Dio, dai più piccoli ai più anziani, e inserite nel contesto liturgico, base della vita della Chiesa, con al centro la Pasqua e la domenica.

 

2.4. Le grande ricchezza ecclesiale e culturale delle confraternite

 

Le confraternite sin dal loro sorgere sono state le espressioni più popolari di come connettere l’annuncio della fede, il culto e la carità. Nella nostra Diocesi il gran numero di confraternite obbliga a prendere atto del grande valore storico e culturale che esse hanno rivestito ma ancora di più della grande eredità di fede che hanno trasmesso. Oggi si rendono necessarie la riscoperta del loro carisma fondativo e della relativa attualizzazione di esso18. Bisogna avviare un vero percorso vocazionale all’interno delle confraternite perché l’adesione ad esse sia una scelta consapevole di vita cristiana, segua un cammino di iniziazione che prepari alla vestizione, faccia emergere dei veri ministeri. All’interno delle Confraternite, una formazione ben strutturata e specifica, l’accompagnamento spirituale da parte degli assistenti e la vita parrocchiale attiva favorisca l’individuazione di confrati che possono accedere anche ai percorsi di formazione per i ministeri laicali istituiti. Le Confraternite, profondamente radicate in tutto il territorio diocesano, non possono che ispirarsi ai valori fondanti, storici e costituzionali delle origini, rilevare i bisogni sociali, impegnarsi in attività di volontariato e di carità all’interno della Confraternita e verso gli altri. Le Confraternite, testimoni privilegiati delle tradizioni popolari devono aprirsi al cambiamento, lavorare in sinergia con le parrocchie e con il territorio e diventare via di evangelizzazione e di trasmissione della fede, attraverso la riscoperta del legame profondo che intercorre tra la fede popolare e il messaggio del Vangelo. Nell'ambito delle vie tracciate dal Sinodo, si propone di procedere al censimento delle Confraternite, rivederne gli statuti, i regolamenti, i comitati direttivi. Vanno riviste altresì le consuetudini e le tradizioni di ogni Confraternita affinché siano attuali nei linguaggi, evangelici nei contenuti, ecclesiali nelle forme. Un ambito profetico e attuale delle Confraternite è l’accompagnamento dei confrati in malattia. Si elaborino forme semplici e concrete di presenza confraternale accanto a chi soffre o alle famiglie in lutto. Sono anche da rivedere, secondo le norme liturgiche vigenti e le disposizioni diocesane anche le modalità delle esequie dei confrati; i confrati vanno coinvolti maggiormente nella preghiera a casa del defunto, nei tragitti dalla casa alla chiesa e dalla chiesa al cimitero. Ogni Confraternita strutturi un vero ministero della consolazione e della carità.

 

 

3. Celebrare il Signore con la fede popolare

 

I colori per dipingere sulla nostra tela ecclesiale e sinodale sono costituiti dalla liturgia e dall’esperienza della fede popolare. La loro consistenza e vividezza sono date dalla loro stessa natura. «La liturgia infatti, mediante la quale, specialmente nel divino sacrificio dell'eucaristia, “si attua l'opera della nostra redenzione”, contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa»19. In SC n. 2 è espressa la relazione che sussiste tra il culto e la vita dei fedeli e la cultura. Le dimensioni oggettiva e soggettiva della fede emergono sin da subito in rapporto all’esperienza liturgica. La liturgia, storia della salvezza in atto (SC nn. 5-6), continua nella storia e nella vita della Chiesa, associata sempre a Cristo e nella quale egli è presente con le sue quadriformi modalità (SC n. 7); la liturgia che genera, manifesta e incrementa la comunione dei santi (SC n. 8) anche nella sua tensione escatologica, tuttavia non esaurisce l’azione della Chiesa ma al contrario provoca l’opera evangelizzatrice, sospingendo in maniera appassionata verso le opere di carità, pietà e apostolato (SC n. 9). La liturgia, pertanto – culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e fonte da cui promana la sua virtus (SC n. 10) – permette alla grazia di dare “forma personale” alla vita dei fedeli, richiedendo il coinvolgimento di tutte le facoltà umane per una vera partecipazione (SC n. 11), armonizzando la preghiera liturgica con la preghiera personale (SC n. 12), manifestandosi soggettivamente anche nei «pii esercizi del popolo cristiano» (SC n. 13). Quanto era stato annunciato all’inizio in SC 2 – ovvero che la liturgia permette ai fedeli di esprimere nella vita e manifestare agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa – trova il suo fondamento teandrico in SC nn. 5-6, la sua costituzione cristica in SC nn. 7-9, la sua narrazione storico-esistenziale in SC nn. 10-13.

Il legame tra l’esperienza oggettiva dell’evento liturgico (SC n. 7) e la sua espressione soggettiva personale (SC nn. 11-12) e comunitaria (SC n. 13) è da ricercarsi nella relazione che sussiste tra «l’esercizio dell’ufficio sacerdotale di Cristo Gesù» (SC n. 7) e i «pii esercizi del popolo cristiano» (SC nn. 13). Dall’exercitatio del sacerdozio di Cristo, Verbo di Dio fatto carne, scaturiscono gli exercitia del popolo cristiano, Corpo di Cristo. Le azioni e le espressioni della fede popolare sono “pii” in forza dell’Incarnazione del Verbo e della inculturazione del suo Vangelo nel popolo che lo accoglie. Il discernimento ecclesiale richiesto e operato su di essi dunque riconosce la loro sorgente nella fede pasquale e l’alveo nel vissuto storico della comunità a cui ogni credente appartiene. La conformità alle leggi e alle norme ecclesiali, richiesta per la legittimità dei pia exercitia, non è un mero e freddo atto giuridico ma un appassionato riconoscimento dei segni della presenza del Crocifisso Risorto, che lo Spirito liberamente genera nella carne del popolo. Questo dinamismo si coglie anche nella relazione che SC n. 13 presenta tra i «Pii esercizi del popolo cristiano» e i «sacri esercizi delle Chiese particolari». L’adesione personale al Vangelo e il vissuto proprio di ogni Chiesa locale sono connessi per via sacramentale e per via culturale, così come emerge dalla successione di pii esercizi e sacri esercizi. Il variegato campo semantico della fede popolare è anche frutto della vivacità del “genius loci et temporis” che ogni popolo e cultura hanno espresso nel rapporto connaturale con la liturgia20. In ragione di tutto ciò è evidente come ci sia connaturalità tra liturgia e pietà popolare. Questa connaturalità impone pertanto che le forme della fede popolare siano sincronizzate con i tempi liturgici, armonizzate con la vita liturgica, scaturiscano da questa o siano propedeutiche ai divini misteri celebrati.

Dalla connaturalità tra liturgia e fede popolare emergono i dinamismi che sono propri della Rivelazione cristiana. Per via affettiva soggettiva e intuitiva le forme della fede popolare sono espressioni prevalentemente comunitarie, coinvolgono ogni persona, si esprimono con modi sensibili di tutto il corpo e implicano gli elementi naturali della creazione. Mentre nella vita liturgica la comunità nasce dall’assemblea convocata e costituita dalla Parola, dal Sacramento e dalla ministerialità, nella religione del popolo la forza attrattiva che costituisce la dimensione comunitaria, quasi spontanea, viene dall’affetto. Nella celebrazione liturgica il rito e la dimensione simbolica costituiscono la grammatica e la sintassi del mistero; nella pietà popolare i simboli e i riti spontanei formano la grammatica e la sintassi dell’umano aperto e in ricerca di Dio. Mentre nella liturgia per via sacramentale il creato è materia e strumento perché Dio manifesti la sua presenza, nella pietà popolare istintivamente il popolo cerca Dio nei segni del creato. Nella liturgia noi celebriamo con il creato, nella religiosità popolare noi cerchiamo il Signore nel creato.

La relazione generativa tra liturgia e fede popolare nei secoli ha contribuito notevolmente a sviluppare alcune forme del culto cristiano: per esempio lo sviluppo dei riti di ingresso nella celebrazione eucaristica, alcuni riti battesimali, benedizioni. Anche lo sviluppo dei tempi dell’anno liturgico è frutto della fede popolare. Dalla celebrazione essenziale del Triduo pasquale e del Natale si sono sviluppate le liturgie di preparazione ad esse: per esempio la drammatizzazione dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme, i riti lucernali della veglia pasquale e la processione con il cero, la pioggia di rose durante la sequenza il giorno di Pentecoste, le feste del 2 febbraio, dell’8 settembre, del 21 novembre, del Corpus Domini. È stata la fede popolare che ha intuito e provocato la festa della dormizione della vergine Maria, secoli prima che il dogma venisse promulgato. Tutto ciò chiaramente si è compiuto nel delicato e intrinseco rapporto equilibrato tra il primato della Pasqua annuale e della domenica in relazione al proprio del tempo e al culto dei santi. Lungo i secoli, tuttavia, ci sono stati periodi in cui questa relazione equilibrata è stata alterata o deviata a causa della non curanza della fede popolare e dell’abbandono di essa da parte del clero. Quindi, la madre Chiesa ha proceduto sempre a riforme radicali per ricreare l’equilibrio tra il primato della Pasqua e della domenica su tutto il resto.

Il nostro discernimento sinodale ci chiede di prenderci cura della fede popolare delle nostre comunità, perché da ciò dipende anche la fede ecclesiale e la crescita cristiana21. In particolare, dobbiamo confrontarci con alcuni ambiti.

 

3.1. Il primato della domenica, il ritmo dell’Anno liturgico e le forme della fede popolare

 

«Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza. Centro di tutto l'anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che culminerà nella domenica di Pasqua il 31 marzo 2024. In ogni domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte»22. Questo è stato l’annuncio proclamato lo scorso 6 gennaio nelle nostre assemblee eucaristiche. Nelle nostre parrocchie la celebrazione del Triduo pasquale e della domenica devono costituire l’esperienza fondamentale che nutre e ravviva la fede e fa crescere la comunità. La vita pastorale ha il suo ritmo nella celebrazione pasquale annuale e settimanale della domenica e non può essere ignorata o sostituita da nessun’altra celebrazione. È il ritmo pasquale settimanale secondo i tempi dell’anno liturgico che crea unità e unitarietà anche nelle attività pastorali delle parrocchie, perché la Pasqua è il cuore della nostra fede. Realmente la domenica, quale celebrazione della Pasqua settimanale, costituisce il centro della vita parrocchiale? Realmente il Triduo pasquale del Signore crocifisso, sepolto e risorto è centro di tutto l’anno? Le diverse forme ed espressione della fede popolare vanno verificate in relazione ai tempi e ai giorni liturgici per valutare la loro aderenza ai ritmi dell’anno liturgico. Una comunità cristiana matura procederà alla verifica e alla scelta coraggiosa di adeguare feste e tradizioni ai ritmi liturgici. Una conoscenza più profonda del messale romano e del Direttorio su pietà popolare e liturgia può aiutare ad orientare la verifica e la conseguente programmazione liturgico-pastorale.

 

3.2. Il culto della Beata Vergine Maria e dei Santi

 

«Anche nelle feste della santa Madre di Dio, degli Apostoli, dei Santi e nella commemorazione dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore»23. Ancora una volta la liturgia ci offre il criterio di valutazione del nostro culto mariano e dei santi. In alcune comunità della nostra Diocesi alcune feste mariane e dei santi sono state spostate dal loro giorno liturgico proprio intromettendosi nei ritmi cristologici delle domeniche della quaresima e del tempo pasquale. Bisogna procedere a ricollocare le celebrazioni del santi nei loro giorni liturgici propri, secondo i criteri della riforma liturgica del Vaticano II e nel rispetto delle norme del Calendario liturgico generale della Chiesa. È la comunità cristiana che crea le sue consuetudini e non lo scorrere del tempo. La riflessione e il confronto comunitario, la collaborazione e la progettazione con i servizi diocesani favorirà il riequilibrio teologico, liturgico e quindi pastorale. Il culto mariano sia sempre armonizzato con i tempi liturgici e più sostanziato dalla parola di Dio e dagli insegnamenti dei Padri della Chiesa e del magistero ecclesiale. La Lumen gentium, Marialis cultus di Paolo VI e il Direttorio su pietà popolare e liturgia costituiscono i punti di riferimento per potenziare una sana devozione mariana. Il grande patrimonio mariano delle preghiere occidentali e orientali offre tante possibilità che possono essere adottate e adattate.

Quanto detto precedentemente vale anche per il culto dei santi. Testi di preghiere e usi legati al loro culto siano contestualizzati secondo il tempo liturgico e la sensibilità attuale. Il culto delle reliquie sia rivolto esclusivamente a quelle certe e non si abusi nel loro uso moltiplicandone la presenza o dando vita a esposizioni invasive e coreografiche anche sulla mensa eucaristica24. Anche le processioni siano rispettose delle norme e dei tempi liturgici. Non si introducano nuove processioni ma si valorizzino al meglio quelle esistenti, con una adeguata animazione per la preghiera, eliminando quelle forme di latente o manifesta superstizione che in qualche contesto sono state riprese recentemente (es. uso di cotone idrofilo o pezzuole, ecc.)25. Si rivedano le diverse preghiere popolari locali e se ne valuti con serena maturità il valore teologico, liturgico, culturale26. Quei testi che ormai risultano obsoleti per teologia e per forma letteraria possono confluire in raccolte da pubblicare per la conservazione storica e la testimonianza27. Ancora una volta, la collaborazione con i servizi pastorali diocesani per la liturgia e la musica, insieme alla sapienza pastorale potrà favorire anche la composizione e l’introduzione di nuove preghiere rispondenti alla sensibilità ecclesiale, teologica, liturgica e culturale attuali. La pubblicazione del Calendario e del Proprio diocesano potrebbe segnare il riequilibrio pasquale e pastorale. In esso il recupero del culto e delle testimonianze di santità di san Gandolfo da Binasco, del beato Guglielmo Gnoffi, dei santi basiliani di Collesano, possono anche avviare percorsi di studio e di ricerca storica.

 

3.3. Le feste patronali e le altre feste

 

Una vera chance pastorale sono le feste patronali, che nelle nostre comunità parrocchiali costituiscono ancora una attuale esperienza di comunità e di famiglia, di cultura e di fede. Nei nostri contesti culturali, esse mantengono ancora la loro forza connettiva ecclesiale e sociale28. Le feste patronali devono avviare dei veri cantieri pastorali comunitari. Sotto la guida sapiente del parroco e il reale e fattivo coinvolgimento del consiglio pastorale parrocchiale, le suddette feste siano programmate nel percorso pastorale annuale e in sintonia sempre con l’anno liturgico. Esse abbiano una vera preparazione spirituale con percorsi di evangelizzazione e catechesi, cicli di predicazione e cenacoli familiari, liturgie ed esperienze caritative a beneficio di tutta la comunità, in quanto «Le feste religiose non vanno gestite dai fedeli, in autonomia; devono essere occasione per riflettere sui contenuti della fede, sul messaggio evangelico e sul valore della testimonianza della carità»29. La riscoperta delle biografie dei santi e l’attualizzazione della santità proposta possono creare esperienze nuove di evangelizzazione. Nel rispetto delle competenze e delle responsabilità, in questo cantiere si coinvolgano le autorità civili e le altre realtà culturali presenti nella comunità. L’elaborazione di un apposito Direttorio diocesano per le feste patronali indichi e preveda ogni aspetto sia religioso sia civile al fine di custodire i valori religiosi cristiani, favorire e promuovere una sana fede popolare e disciplinare le procedure amministrative ed economiche. In ottemperanza alle norme liturgiche, nel Calendario liturgico diocesano siano inserite anche le feste patronali. Anche per le altre feste ci sia una vera programmazione pastorale scandita da percorsi di catechesi, celebrazioni ed esperienze caritative proprie, armonizzate sempre con i tempi liturgici.

 

 

4. Testimoniare il Signore con la fede popolare

 

Nel nostro percorso, guidati dalla metafora pittorica, giungiamo alla testimonianza della presenza del Crocifisso Risorto, che costituisce la visione del vero volto di Cristo e dell’uomo. Carità e cultura sono i modi con i quali tutti possono vedere il volto del Signore nella sua reale concretezza e prossimità. Sant’Agostino ci insegna che «Se vedi la carità, vedi la Trinità»30. La fede popolare nei secoli ha animato la carità ecclesiale e ha prodotto cultura con una evidente incidenza sociale, mostrando così il volto bello del nostro Dio e della sua Chiesa, che ha la missione di scoprire la bellezza presente in ogni creatura. Papa Benedetto XVI all’inizio del suo pontificato nella lettera enciclica Deus caritas est n. 19 indicava alla Chiesa:

 

Tutta l'attività della Chiesa è espressione di un amore che cerca il bene integrale dell'uomo: cerca la sua evangelizzazione mediante la Parola e i Sacramenti, impresa tante volte eroica nelle sue realizzazioni storiche; e cerca la sua promozione nei vari ambiti della vita e dell'attività umana. Amore è pertanto il servizio che la Chiesa svolge per venire costantemente incontro alle sofferenze e ai bisogni, anche materiali, degli uomini.

 

La fede popolare è testimonianza del Signore accolto e celebrato, amato e servito. Una delle caratteristiche precipue delle confraternite è stata la dimensione caritativa che nei secoli ha preso svariate forme. Oggi, questa dimensione costituisce la prova più efficace della vitalità e credibilità della fede ecclesiale. Le attuali diaconie, o altre da istituire, potrebbero avvalersi anche dell’apporto delle confraternite così da facilitare naturalmente anche la dimensione caritativa delle feste e di tali associazioni.

Le espressioni della fede popolare nei secoli sono state le forma più immediate che hanno testimoniato l’accoglienza del Vangelo, la celebrazione dei divini misteri e hanno creato cultura e custodito la comunità. Edifici di culto, manufatti artistici, testi e musiche, cibi e modi di dire hanno espresso la fede cristiana in maniera coinvolgente e immersiva. EG n. 122 ci ha già ricordato come il Vangelo sia capace di sprigionare forza di inculturazione. Anche il nostro Documento sinodale ha ribadito che «È importante parlare delle tradizioni religiose come patrimonio culturale e religioso, trovare occasioni di incontro e di confronto per creare momenti aggregativi, educare alla bellezza, custodire storie di vita e tradizioni, culture ed esperienze sociali»31. Sarebbe una vera profezia se ogni confraternita e ogni festa fossero collegate ad una opera di misericordia specifica, declinandone l’attualizzazione secondo le esigenze e i contesti locali. Il coraggio della fede e le sue traduzioni culturali ci aiutano a guardare le ferite per superare l’incapacità divenuta collettiva di non riuscire più a vedere la benedizione nascosta dentro le ferite dell’altro e nostre. La relazione liturgia-pietà popolare, capace di sanare le debolezze della cultura, può anche trasfigurare le ferite rendendole feritoie dalle quali vedere diversamente la vita delle nostre parrocchie e quindi anche la fede celebrata e manifestata nelle sue forme popolari. Le traduzioni caritative, culturali e sociali della fede popolare ci aiutano e rivedere alcune esperienze ad esse collegate.

 

4.1. Il Pellegrinaggio alla Chiesa Cattedrale e ai Santuari

 

Un’importanza tutta speciale va riservata alla Chiesa Cattedrale, al Santuario di Gibilmanna, al Santuario dello Spirito Santo in Gangi e agli altri santuari mariani presenti nel nostro territorio diocesano. Per la loro identità ecclesiale e storica, essi costituiscono i luoghi privilegiati della fede del nostro popolo. Le celebrazioni della Trasfigurazione del Salvatore (6 agosto), dell’anniversario della dedicazione della Chiesa Cattedrale (sabato della seconda settimana di Pasqua) e della beata vergine Maria di Gibilmanna (1 settembre), patrona della nostra Diocesi devono mantenere e incrementare l’identità ecclesiale della nostra gente. I pellegrinaggi alla Cattedrale e al santuario di Gibilmanna, la concelebrazione con il vescovo, le catechesi ed esperienze culturali possono connettere ancora di più il tessuto diocesano e l’appartenenza ecclesiale. Ogni nostra parrocchia dovrebbe programmare durante l’anno pellegrinaggi alla Cattedrale e ai Santuari quali occasioni di grazia e veri cammini di fede e cultura. Anche negli altri santuari presenti nel territorio diocesano si faccia in modo di qualificare la proposta liturgica e catechetica, caritativa e culturale, creando percorsi e formando una rete di attività che coinvolgano le diverse parrocchie e realtà ecclesiali.

 

4.2. Il “Parco culturale ecclesiale”

 

Una esperienza che sta muovendo i suoi primi passi e che tende ad essere realtà connettiva di diverse presenze valorizzando il grande patrimonio culturale e cristiano della nostra Chiesa Cefaludense è il “parco culturale ecclesiale”. Le nostre comunità con i loro beni culturali possono dare vita a svariati percorsi tematici di matrice biblica e artistica, agiografici territoriali, per secoli o per paradigmi culturali, diventando anche esperienze di evangelizzazione e di valorizzazione. La sinergia tra diverse realtà può anche riscattare l’isolamento che purtroppo patiscono alcune nostre comunità a causa della dislocazione geografica e della viabilità. Il coinvolgimento attivo delle Confraternite costituirebbe una vera risorsa umana e pastorale. I suddetti percorsi tematici possono recuperare anche i piati tipici della tradizione cristiana delle nostre parrocchie che nei secoli hanno caratterizzato i giorni di festa e di digiuno.

 

 

5. Per avviare la riflessione e il confronto

 

Catechizzare in famiglia per via affettiva riattivando la trasmissione della fede, recuperare la centralità della Pasqua e della domenica nei ritmi dell’anno liturgico, ricreare dinamismi comunitari e culturali diffusi sono le sfide che la nostra Chiesa intende accogliere e assecondare per custodire il grande patrimonio evangelico della fede trasmesso e da trasmettere ed essere così presenza significativa per chiunque nel nostro territorio madonita, nella valle del Torto e sul litorale tirrenico cerca il Signore con cuore sincero.

Per avviare il confronto e la discussione sinodale vorremmo condividere alcune domande utili per discernere e progettare la vita della nostra Chiesa anche attraverso le fede popolare e le sue espressioni: Le forme della fede popolare presenti nelle nostre comunità esprimono oggi l’uomo nella sua concretezza con il suo reale vissuto? Professano la retta fede della Chiesa attuando il progetto del Vaticano II e conducono a vera conversione sinodale? Sono in armonia con la liturgia della Chiesa e favoriscono la comunione ecclesiale e la partecipazione liturgica?

In conclusione, vogliamo richiamare come la fede popolare abbia la semplicità, la spontaneità e l’intraprendenza di quella donna emorroissa che quel giorno toccò il mantello di Gesù standogli di spalle ma poi si ritrovò a dialogare con lui faccia a faccia:

 

Ed ecco, una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, gli si avvicinò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Diceva infatti tra sé: "Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata". Gesù si voltò, la vide e disse: "Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata". E da quell'istante la donna fu salvata (Mt 9,20-22).

 

La fede popolare ancora oggi conduce noi uomini e donne a stare difronte a Gesù affinché possiamo udire con le nostre orecchie, vedere con i nostri occhi, toccare con le nostre mani il Verbo della Vita, poiché la Vita si è manifestata (cf. 1Gv 1,1-4) e noi questo dobbiamo annunciare!

 

1 FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, (=EG), n. 11. 

2 Si rinvia a C. M. GALLI, «La riforma missionaria della Chiesa secondo Francesco. L’ecclesiologia del popolo di Dio evangelizzatore», in A. SPADARO C. M. GALLI (edd.), La riforma e le riforme nella Chiesa, Queriniana, Brescia 2017, pp. 37-65. 

3 EG n. 119: «In tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”. Questo significa che quando crede non si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua fede. Lo Spirito lo guida nella verità e lo conduce alla salvezza. Come parte del suo mistero d’amore verso l’umanità, Dio dota la totalità dei fedeli di un istinto della fede – il sensus fidei – che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio. La presenza dello Spirito concede ai cristiani una certa connaturalità con le realtà divine e una saggezza che permette loro di coglierle intuitivamente, benché non dispongano degli strumenti adeguati per esprimerle con precisione». Cf. FRANCESCO, Lettera enciclica Laudato si’, 24 maggio 2015, [=LS], nn. 13-16; FRANCESCO, Esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia, 19 marzo 2016, [=AL], n. 3; FRANCESCO, Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, 22 febbraio 2018, [=GE], nn. 6-9; FRANCESCO, Esortazione apostolica postsinodale Christus vivit, 25 marzo 2019, [=CV], nn. 203-208; FRANCESCO, Esortazione apostolica postsinodale Querida Amazonia, 2 febbraio 2020, [=QA], nn. 109-110. Rinvio anche a A. SPADARO, «Intervista a Papa Francesco» in La Civiltà Cattolica 3918 (2013/III), p. 459. 

4 Cf. R. GUARDINI, Il senso della Chiesa, Morcelliana, Brescia 20072, pp. 21-22 «Questa coscienza dell’unione fra gli uomini acquista un significato e un carattere proprio: diviene coscienza di popolo. Il vocabolo “popolo” non significa “massa” o “gente incolta” o primitivi, la cui vita spirituale e il mondo dei valori e delle cose non siano evoluti. Tutte queste interpretazioni vengono dal pensiero liberale, illuministico, individualistico. Ora il tono è del tutto diverso; qualche cosa di essenziale sta sorgendo. “Popolo” è l’unione originaria degli uomini che per specie, paese, evoluzione storica nella vita e nei destini sono un tutto unico. Popolo è quella porzione d’umanità che, nelle sue radici e nelle leggi essenziali fondamentali della natura e della vita, forma una compagine non disgregabile. Nel popolo sta l’umanità, non secondo il numero e la massa, ma nel contenuto essenziale del suo concetto – l’umanità nelle sue connessioni […]». 

5 Ibid., p. 25. 

6 S. VACCA, Vescovo e popolo. In ascolto e in dialogo per una Chiesa sinodale, Diocesi di Cefalù, Cefalù 2023 [= Documento sinodale]. 

7 «L’imprimitura ha importanza grandissima per la conservazione della pittura. Essa la isola dal piano sottoposto, assecondando e neutralizzando sia le contrazioni che il dipinto subisce nell’asciugare, sia i movimenti del piano stesso conseguenti alle variazioni di temperatura, umidità, agli urti eventuali. Ha il compito di assorbire l’eccedenza d’olio e di vernice provenienti dalla pittura ma senza impoverirla; e quello di impedire che dal piano penetrino nel colore sostanze dannose. La buona imprimitura può salvare il quadro, permettendo il trasporto della pittura su un altro piano quando quello primitivo sia deteriorato o minacciato di distruzione. Essa varia secondo la materia che deve rivestire, il genere di pittura a cui è destinata, il modo di esecuzione particolare all’artista» in Enciclopedia italiana, vol. XVIII, Edizioni Istituto G. Treccani, Milano 1933, p. 944. 

8 Documento sinodale, p. 81. 

9 «L’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita che indebolisce lo sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone, e che snatura i vincoli familiari. L’azione pastorale deve mostrare ancora meglio che la relazione con il nostro Padre esige e incoraggia una comunione che guarisca, promuova e rafforzi i legami interpersonali. Mentre nel mondo, specialmente in alcuni Paesi, riappaiono diverse forme di guerre e scontri, noi cristiani insistiamo nella proposta di riconoscere l’altro, di sanare le ferite, di costruire ponti, stringere relazioni e aiutarci “a portare i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2). D’altra parte, oggi nascono molte forme di associazione per la difesa di diritti e per il raggiungimento di nobili obiettivi. In tal modo si manifesta una sete di partecipazione di numerosi cittadini che vogliono essere costruttori del progresso sociale e culturale». 

10 «Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cf. Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora». 

11 CV 90: «In un documento preparato da 300 giovani di tutto il mondo prima del Sinodo, essi hanno segnalato che «le relazioni on line possono diventare disumane. Gli spazi digitali ci rendono ciechi alla fragilità dell’altro e ci impediscono l’introspezione. Problemi come la pornografia distorcono la percezione della sessualità umana da parte dei giovani. La tecnologia usata in questo modo crea una ingannevole realtà parallela che ignora la dignità umana». L’immersione nel mondo virtuale ha favorito una sorta di “migrazione digitale”, vale a dire un distanziamento dalla famiglia, dai valori culturali e religiosi, che conduce molte persone verso un mondo di solitudine e di auto-invenzione, fino a sperimentare una mancanza di radici, benché rimangano fisicamente nello stesso luogo. La vita nuova e traboccante dei giovani, che preme e cerca di affermare la propria personalità, affronta oggi una nuova sfida: interagire con un mondo reale e virtuale in cui si addentrano da soli come in un continente sconosciuto. I giovani di oggi sono i primi a operare questa sintesi tra ciò che è personale, ciò che è specifico di una cultura e ciò che è globale. Questo però richiede che riescano a passare dal contatto virtuale a una comunicazione buona e sana» 

12 Documento sinodale, p. 81: «La fede popolare, quando è ben orientata e illuminata da una sana pedagogia evangelica, costituisce un grande patrimonio per la Chiesa. Le tradizioni religiose portano e attraggono al divino. Nei paesi della Diocesi essa è particolarmente sentita e le sue tradizioni religiose vengono tramandate di padre in figlio»

13 Ibid. p. 83. 

14 Ibid. p. 81. Cfr. anche Paolo VI, Evangelii nuntiandi, n. 48: «Ma se è ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è ricca di valori. Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all'eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione. A motivo di questi aspetti, Noi la chiamiamo volentieri «pietà popolare», cioè religione del popolo, piuttosto che religiosità». 

15 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e liturgia, Libreria Editrice Vaticana, Città del vaticano 2002, p. 12: «Nella pietà popolare devono percepirsi: l’afflato biblico, essendo improponibile una preghiera cristiana senza riferimento diretto o indiretto alla pagina biblica; l’afflato liturgico, dal momento che dispone e fa eco ai misteri celebrati nelle azioni liturgiche; l’afflato ecumenico, ossia la considerazione di sensibilità e tradizioni cristiane diverse, senza per questo giungere a inibizioni inopportune; l’afflato antropologico, che si esprime sia nel conservare simboli ed espressioni significative per un dato popolo evitando tuttavia l’arcaismo privo di senso, sia nello sforzo di interloquire con sensibilità odierne. Per risultare fruttuoso, tale rinnovamento deve essere permeato di senso pedagogico e realizzato con gradualità, tenendo conto dei luoghi e delle circostanze». 

16 Documento sinodale, p. 82. 

17 «I giovani si esprimono positivamente sulla fede popolare, ritenendola una dimensione importantissima; menzionano soprattutto le processioni, le solenni esposizioni delle reliquie dei Santi, i riti della Settimana Santa, che non ritengono assolutamente manifestazioni a carattere folkloristico, ma espressioni autentiche di fede, capaci di suscitare riflessioni profonde e di metterli in relazione con le loro radici umane e culturali. Molti affermano di averne scoperto il valore soprattutto in questo periodo di sospensione dovuta all’emergenza sanitaria, e ora che si è palesata la possibilità di una ripresa, alcuni desiderano impegnarsi attivamente», in Documento sinodale, p. 82. 

18 Cf. Documento sinodale, p. 89. 

19 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum concilium, 4 dicembre 1963, [=SC], 2. 

20 Cf. CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e liturgia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, 6: « Nel corso dei secoli le Chiese d’Occidente sono state variamente segnate dal fiorire e dal radicarsi nel popolo cristiano, insieme e accanto alle celebrazioni liturgiche, di molteplici e variate modalità di esprimere, con semplicità e trasporto, la fede in Dio, l’amore per Cristo Redentore, l’invocazione dello Spirito Santo, la devozione per la Vergine Maria, la venerazione dei Santi, l’impegno di conversione e la carità fraterna. Poiché la trattazione di questa complessa materia, denominata comunemente “religiosità popolare” o “pietà popolare”, non conosce una terminologia univoca […]». Dal magistero conciliare ad EG è fiorito un vero e proprio lessico della pietà popolare: pii esercizi, sacri esercizi, devozioni, pietà popolare, religiosità popolare, cattolicesimo popolare, spiritualità popolare, mistica popolare. Cf. G. MARCIANTE, Lettera pastorale per il 2019-2020 La parte buona che non ci sarà tolta. Viaggio alla ricerca dell’essenziale, Cefalù 2019, pp. 99-112. 

21 Cf. Documento sinodale p. 83: «È segno manifesto e chiaro di decadenza una Chiesa che, non riuscendo più a trasmettere la verità profonda del Vangelo, genera surrogati che, non sempre aderenti alla liturgia ufficiale della Chiesa, allontanano le persone dal messaggio di Gesù Cristo, portandole alla superficialità. Questo succede quando si perde il significato storico e il contenuto evangelico delle tradizioni; in questo caso c’è il rischio che la fede diventi folklore. Le tradizioni devono essere tramandate sempre in maniera genuina, rimanendo aderenti allo spirito del Vangelo». 

22 Cf. l’Annuncio del giorno di Pasqua che si proclama il 6 gennaio, in Messale romano, pp. 55. 996.

23 Ibid.

24 Direttorio su pietà popolare e liturgia, n. 237. 

25 Cf. Documento sinodale, p. 86: «Si deve però evitare che la fede popolare scada nel folklore: a volte la fede popolare si è fatta solo esteriorità, le manifestazioni esteriori prevalgono sul vero senso della fede (es. le processioni e il bacio della statua). A volte gli elementi esteriori e alcuni comportamenti, che possono certamente essere modificati, pur essendo superflui, vengono invece assolutizzati, e spesso sfociano in fenomeni di superstizione». 

26 Cf. Documento sinodale, p. 85: «È importante evangelizzare e catechizzare la fede popolare, leggere e interpretare le manifestazioni popolari autentiche, aderenti al Vangelo e legate alla liturgia della Chiesa, togliere qualche incrostatura, qualora qualche forma di culto si allontani dal Vangelo, disattenda le direttive della pastorale ecclesiale e proponga alcune ritualità che sono distanti dal Vangelo. La responsabilità della mancanza della Sacra Scrittura e di conoscenza teologica è da attribuire ai presbiteri, i quali anche negli anni hanno permesso ai fedeli di gestirsi in autonomia»; Ibid. p. 108: «Le antiche tradizioni religiose vanno comprese, vissute con nuove forme di coinvolgimento di tutto il popolo di Dio, dai più piccoli ai più anziani, e inserite nel contesto liturgico, base della vita della Chiesa, con al centro la Pasqua e la domenica». 

27 Cf. Documento sinodale p. 86: «In questi casi bisogna modulare una proposta di annuncio della buona notizia e di catechesi che, pur partendo dalle espressioni tradizionali e devozionali, permette di rinnovare nuove forme di pastorale. Si eviti l’insistenza sulle forme stereotipate tradizionali. Bisogna discernere i testi da leggere e pregare, e i canti, puntando su contenuti forti dal punto di vista biblico, patristico e teologico, escludendo testi e canti solo devozionali e forme prive di significato, lontane dal contesto che le ha prodotte»; Ibid. p. 107: «Il cammino della fede popolare con le sue diverse e ricche forme devozionali e la trasmissione dei valori religiosi deve sempre essere suscettibile di attenta verifica, circa la sua aderenza al messaggio evangelico. Bisogna scegliere con cura i testi da leggere e pregare, escludendo quelli prettamente devozionali» 

28 Cf. Ibid. p. 87: «Le feste patronali occupano un posto primario e centrale, si presentano come la festa di tutta la comunità, sono insieme festa religiosa e civile, le più partecipate, ed hanno la meglio anche sulle celebrazioni del triduo pasquale. La festa è un momento importante per l’uomo e per la comunità, coinvolge tutti e crea un forte clima familiare»

29 Ibid. p. 107. 

30 De Trinitate, VIII,8,12. 

31 Ibid. pp. 87-88. 

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